Shlomo Venezia

 
Shlomo Venezia

nato nel 1923
Roma

9 Racconti

17.3 min
Per Shlomo, come per tutti gli altri, si trattava di restare in vita facendo attenzione a non mangiare troppo e poi mettere rimedio alle disastrose condizioni di salute. Shlomo scelse di venire in Italia ed è stato prima in ospedale per più di un anno e poi in sanatorio da dove è uscito nel 1952. Arrivato a Grottaferrata dove ha fatto un corso per albergatore e un corso di inglese, ha conosciuto una ragazza ebrea ungherese che era rimasta nascosta in Francia. Si sono sposati e la vita ha preso il suo corso naturale. Shlomo ha raccontato solo dopo 47 anni, quando ha visto che a Roma cominciavano le scritte antisemite. Da quel momento ha sempre fatto attività di testimonianza con i ragazzi delle scuole.
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19.8 min
L’esercito russo si avvicinava e i tedeschi verso la metà di gennaio decisero di evacuare il campo. Furono organizzate le colonne di migliaia di deportati che iniziarono una delle marce della morte, quelle durante le quali si moriva di stanchezza o si veniva uccisi con un colpo alla nuca se si cadeva. Alla fine Shlomo arrivò a Mauthausen: nuova selezione,nuovo numero, stavolta su un braccialetto legato col filo di ferro. E poi il lavoro nelle fabbriche che erano state trasferite in gallerie che i deportati scavano. Shlomo è andato prima a Melk poi a Ebensee dove finalmente il 6 aprile arrivarono gli americani a liberare il campo.
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19.6 min
Al sonderkommando lavoravano moltissimi uomini e da anni i capi, che erano soprattutto ebrei polacchi, stavano preparando una rivolta. In previsione di questo Shlomo era riuscito a far trasferire il fratello al proprio gruppo. La rivolta scoppiò il 6 di ottobre del 44 ma fallì subito. Tutti quelli del crematorio dove era iniziata morirono e il fratello in un certo senso rimprovera ancora a Shlomo di averlo salvato ma lo fa quando ricorda di aver perduto una figlia e la moglie.
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22.1 min
Successivamente Shlomo fu mandato al crematorio 3: si trattava di prendere i corpi e due alla volta farli scivolare dalla barella di ferro alla bocca del forno. La temperatura era così alta che la barella bisognava bagnarla altrimenti i corpi finivano per attaccarsi. Era una macchina,quella dei campi, che funzionava con l’efficienza di una fabbrica. A Shlomo è capitato di incontrare nell’anticamera delle docce perfino il cugino del padre che voleva sapere. Shomo non riuscì a mentirgli, solo sul tempo dell’agonia fu consolatorio e gli portò qualcosa da mangiare. E gli disse anche che era solo questione di tempo e prima o poi sarebbe finito nei forni anche lui e tutti gli altri che in quel momento sembravano privilegiati. Il solo privilegio era quello di dormire nell’abbaino di una baracca separata dal resto del campo e di dividere il letto solo con un altro deportato.
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22.3 min
Shlomo e il fratello finirono per essere scelti a lavorare nel sonderkommando: erano deportati addetti a tutto il ciclo della eliminazione. Si cominciava dal portare fuori i corpi di quelli entrati nella camera a gas convinti di fare la doccia e dove ci mettevano fino a dieci minuti per morire. Shlomo ricorda che una volta hanno trovato un bambino di pochi mesi ancora vivo e che è stato ucciso con un colpo di carabina da un ufficiale SS. Alle donne venivano tagliati i capelli: Shlomo aveva detto di saper fare il barbiere. A tutti si cavavano i denti d’oro: il fratello di era dichiarato odontotecnico. Si radunavano gli abiti e i fagotti che i morti avevano lasciato in anticamera e si selezionavano le cose. Quello era il modo per rimediare qualcosa in più da mangiare perché i deportati sul treno a volte si portavano qualcosa.
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22.4 min
Ma Shlomo e il fratello erano dopo il viaggio erano piuttosto malandati e vennero rispediti a Birkenau. Dopo pochissimo tempo un ufficiale chiese se qualcuno voleva doppia razione di zuppa, Shlomo si fece avanti e gli fu affidato un lavoro particolare: trasportare i morti dalla camera a gas alle fosse perché venissero bruciati. Nonostante a Birkenau ci fossero quattro forni crematori con cinque bocche di fuoco ciascuno, capitava che ci fossero tante persone da uccidere che i forni non bastavano e si ricorreva alla cremazione nella fossa comune. E non era una cosa semplice perché i corpi bisognava metterli in modo tale che il fuoco non si spegnesse.
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19.5 min
Appena arrivati sulla rampa, fu fatta la prima selezione fra uomini e donne; Shlomo vide la madre e le due sorelline piccole allontanarsi e fu l’ultima volta che le vide. Soltanto dopo seppe che erano state destinate subito all’eliminazione. La sorella maggiore invece venne destinata al lavoro. Shlomo rimase col fratello e da Birkenau, che era in sottocampo di Auschwitz dove tutti arrivavano, vennero destinati ad Auschwitz Uno, che non era attrezzato per lo sterminio ma per il lavoro. Lì incontrarono in fidanzato della sorella che aveva un posto buono e, dopo averla cercata, riuscì a fare trasferire la fidanzata da Birkenau. Si è salvata solo grazie a questo fidanzato intraprendente. La procedura per chi non veniva eliminato subito era la stessa: spogliati, rasati, depilati, doccia dove il tedesco di turno si divertiva a mandare acqua bollente per poter rimandare dentro a calci chi giustamente scappava, numero tatuato sul braccio che bisognava imparare a memoria e in tedesco.
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19.2 min
Quando l’8 settembre i tedeschi presero il sopravvento Shlomo insieme a tutta la famiglia si ritrovò in sinagoga dove erano stati radunati tutti gli Ebrei italiani. Vennero fatti salire su un treno, nei vagoni merci che avevano solo quattro finestrelle a cui ancora non avevano messo il filo spinato. Fu una fortuna perché alla stazione di Salonicco la Croce rossa distribuiva dei pacchi con viveri. Shlomo riuscì a prenderne molti, una trentina e fu tanto astuto da dichiararne solo otto perché i tedeschi chiedevano indietro quelle che consideravano eccedenze. Così sul vagone di Shlomo non morì nessuno. Patirono moltissimo la sete. Il treno attraversò la Jugoslavia,poi la Cecoslovacchia e alla fine arrivò ad Auschwitz. Avevano viaggiato 12 giorni. Shlomo lo ha ricostruito dal Museo di Auschwitz perché sul treno avevano perso il senso del tempo.
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17.7 min
La famiglia proveniva dalla Spagna, erano arrivati con la cacciata degli ebrei nel 16esimo secolo; avevano la cittadinanza italiana e gli antenati avevano assunto questo cognome perché erano a Venezia. Il nonno era arrivato in Grecia durante la prima guerra mondiale. Il padre era stato anche fascista e si è risparmiato le leggi razziali perché è morto prima, Shlomo dice per fortuna. Con le leggi razziali cominciarono i guai: tiravano avanti con l’aiuto degli zii che commerciavano in frutta e verdura. Quando sono cominciate le deportazioni dei tedeschi, il console italiano propose agli ebrei italiani di Grecia di andare ad Atene dove potevano essere protetti. E la famiglia di Shlomo andò ad Atene, dove Shlomo e i fratelli si diedero da fare con piccoli commerci.
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