RIVA DEL CARBON - Il lavoro a Porto Marghera

ninzioleto

Noi ripudiamo l'antica Venezia estenuata e sfatta da voluttà secolari, che noi pure amammo e possedemmo in un gran sogno nostalgico.
Ripudiamo la Venezia dei forestieri, mercato di antiquari falsificatori, calamita dello snobismo e dell'imbecillità universali, letto sfondato da carovane di amanti, semicupio ingemmato per cortigiane cosmopolite, cloaca massima del passatismo.
Noi vogliamo guarire e cicatrizzare questa città putrescente, piaga magnifica del passato. Noi vogliamo rianimare e nobilitare il popolo veneziano, decaduto dalla sua antica grandezza, morfinizzato da una vigliaccheria stomachevole ed avvilito dall'abitudine dei suoi piccoli commerci loschi.
Noi vogliamo preparare la nascita di una Venezia industriale e militare che possa dominare il mare Adriatico, gran lago italiano.
Affrettiamoci a colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi.
Bruciamo le gondole, poltrone a dondolo per cretini, e innalziamo fino al cielo l'imponente geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo, per abolire le curve cascanti delle vecchie architetture.
Venga finalmente il regno della divina Luce Elettrica, a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobigliata.

L'8 luglio 1910, 800.000 foglietti contenenti questo manifesto furono lanciati dai poeti e dai pittori futuristi dall'alto della Torre dell'Orologio sulla folla che tornava dal Lido. Così cominciò la campagna che i futuristi sostengono da tre anni contro Venezia passatista.
Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo, Contro Venezia passatista, 27 aprile 1910



Quale ne l'arzanà de' Viniziani bolle l'inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani,
ché navicar non ponno - in quella vece chi fa suo legno novo e chi ristoppa le coste a quel che più vïaggi fece;
chi ribatte da proda e chi da poppa; altri fa remi e altri volge sarte; chi terzeruolo e artimon rintoppa - :
tal, non per foco ma per divin' arte, bollia là giuso una pegola spessa, che 'nviscava la ripa d'ogne parte.
Dante Alighieri, Inferno, xxi, 7-15

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